martedì 16 novembre 2010

UNA VITA TRA MUSICA E RIVOLUZIONE





Enzo Del Re
Sabato scorso, sul palco del teatro Ariston di Sanremo è salito Enzo Del Re, 66 anni, da Mola di Bari. Era l’ultima serata del Premio Tenco 2010, in programma “star”, bandiere e giovani virgulti come Vinicio Capossela, gli Skiantos, Brunori Sas, Paul Brady, Amarcio Prada. La conferma di una riscoperta, ad un anno dal bagno di folla del Concertone del Primo Maggio, a sei dal film di Guido Chiesa sulle avventure di Radio Alice intitolato come un suo brano, Lavorare con lentezza. Questo tardivo ma commosso applauso da parte del mondo della musica d’autore italiana non era affatto scontato, anzi. Come ben testimonia Io e la mia sedia, il documentario di Angelo Amoroso D’Aragona, recentemente pubblicato da Edizioni del Sud (Collana “Percorsi di Teca”, voluta e sostenuta dalla Teca del Mediterraneo, biblioteca del Consiglio regionale pugliese), l’autore di canti di protesta duri e diretti come Il superuomo, Avola, Povera gente e Tengo ‘na voglia e fa niente da qualche anno era piombato in un oblio quasi naturale. Del Re è uno di quei personaggi che con la loro coerenza ti ricordano che ogni compromesso è un tradimento, semplicemente insopportabile in tempi co me questi votati al mercato e all’immagine. Al punto da vivere solo, con un’irrisoria pensione e una bicicletta, simbolo della sua avversione all’automobile, prodotto principe dell’industria capitalista. Orgoglioso per “non aver lottato per la pensione ma per la rivoluzione”.
La sua parabola illumina va gli anni più intensi della  contestazione che dal ‘68 al ‘77 scosse l’Italia, quando ac canto ai lavoratori impegnati a lottare contro lo sfrut tamento, migliaia di ra gazzi scelsero di sfidare la cultura tradizionale per recla mare a gran voce la liber tà d’espressione. Tra teatri politici e collettivi d’arte, cineforum e dibattiti andava in scena l’apertura al mon do di una generazione in cerca di stimoli per descrive re meglio la realtà intor no a lei. A questo pa norama, Del Re contribuiva portan do la voce mai ascoltata dell’estremo Sud, sia nei con tenuti che nel metodo: profondamente pugliese era l’immediatezza della sua proposta, l’andare dritto al cuore del problema fondan te della contestazione, lo libe razione del lavoro operaio dallo sfruttamento, senza metafore o inutili giri di parole, la mancanza di fronzo li che si traduceva nel rifiuto degli strumenti tradi zionali per tirare fuori il suono dal corpo o da oggetti umili come una sedia. In sin­tesi la radicalità di una cultura contadina aspra, a volte brusca  come il suo carat tere ma ancestrale, abituata dalla vita a ragionare in termini semplici ed efficaci. Del Re sconvolse il mon do della cultura alternativa tra Firenze e Milano, quello della compagnia Nuova Scena che intorno a Dario Fo costruiva in tutta Italia una rete di teatri di base intenti a riscoprire la cultura popolare.
Come emerge dalle interviste di D’Aragona ai protagonisti dell’epoca (Antonio Infantino, Vittorio Franceschi, Claudio Lolli), la sua figura drastica affascina va amici e colleghi e gli aprì le porte di collaborazio ni e progetti su cui Del Re costruì una carriera di artista impegnato a convertire tutti sulla via della rivoluzione. Oggi, dopo l’ennesima riscoperta, in bilico tra Primo Maggio e musicassette, Premio Tenco e la dura vita nella solitudine, la sua storia ci ricorda che forse alla fine non si tratta né di pensione, né di rivoluzione ma di canzoni. E una migliore di Povera gente, per raccontare la tragedia dell’immigrazione, non è ancora stata scritta.
Sabino Di Chio
sul Nuovo Corriere BARISERA
il 16 novembre 2010

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